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L'articolo NOVARA: Concerto di inaugurazione per la riapertura del Teatro Coccia – a cura di Nicola Salmoiraghi proviene da classica.
]]>Anche il Teatro Coccia di Novara ha aperto i battenti della sua Stagione, ancora con pubblico a ranghi ridotti, in attesa che molto presto le rigide maglie anti-covid siano ridotte, e i luoghi di cultura restituiti alla piena capienza o quasi, almeno per i primi tempi.
Il via si è avuto con un Concerto, occorre dirlo invero eccellente, dell’OSN Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, diretta da Antonino Fogliani. Per la verità sul podio era prevista la presenza di Tianyi Lu, giovane direttrice vincitrice del Premio Cantelli 2020, costretta a rinunciare per un’indisposizione. Il Maestro Fogliani faceva parte della Giuria che le aveva attribuito il prestigioso riconoscimento.
Larga parte della serata è stata dedicata alla musica di Felix Mendelssohn: si è iniziato con l’Ouverture Le Ebridi, composta dal musicista tedesco nel 1830 sull’onda della suggestione di un viaggio compiuto nell’arcipelago scozzese. Fogliani ha cesellato con attenzione e grandissimo gusto il susseguirsi di stati d’animo, quasi un pannello di acquerelli di clima umbratilmente romantico in malinconica sospensione tra assenza e attesa, per abbandonarsi, nella seconda parte del pezzo, a ricreare con dolcissima tensione il rollio del mare, amico e sfuggente come la corrente, in questo seguito da una compagine orchestrale in grande spolvero.
La seconda parte del programma era interamente dedicata alla Sinfonia numero 4, detta Italiana, eseguita per la prima volta nel 1833 e rivista da Mendelssohn l’anno seguente. Fogliani ha sfogliato le pagine della scrittura medelssohniana con luminosa capacità analitica non disgiunta da un trepidante abbandono. Il celeberrimo primo movimento ha brillato a dovere, la solennità del secondo è stata resa con pacata compostezza, e il classico, apollineo equilibrio del terzo ha aperto le porte alla danzante conclusione del quarto. Una lettura coinvolgente e di notevolissimo livello.
La parte centrale del concerto era occupata dall’affascinante Concerto per pianoforte numero 5, conosciuto come Egiziano, di Camille Saint-Saëns, eseguito per la prima volta nel 1846. Composto dall’autore (e quanto dovrebbe essere rivalutato e giustamente considerato nel suo valore Sain-Saëns), durante un viaggio a Luxor, si avvantaggia delle seduzioni orientali che sempre suggestionarono il musicista – dobbiamo ricordare la sua opera più celebre, Samson et Dalila? -; ascoltiamo così richiami musicali mediorientali, ispanici, sino all’estremo oriente; le notti del Nilo barbagliano misteriose e impalpabili tra le note delle tre sezioni del Concerto, con un risultato quasi pre-impressionista d’insinuante attrazione. Fogliani e l’OSN hanno dipinto l’atmosfera con palpitante partecipazione ma fondamentale è stato certamente l’apporto della bravissima pianista ventisettenne olandese Gile Bae, vincitrice del Primo Premio alla Princess Christina Competition nei Paesi Bassi e del Primo Premio alla Steinway & Sons International Piano Competition. Impeccabile e ammirevole perizia tecnica, efficacissimo sbalzo interpretativo in un continuo, eloquente dialogo con la parte orchestrale, hanno siglato una prova davvero maiuscola, coronata da un caldissimo successo personale, che è peraltro arriso a tutti gli artefici della davvero bella serata, una di quelle in cui, attraverso la musica, si può tornare di nuovo a sperare.
Nicola Salmoiraghi
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]]>L'articolo NOVARA: prima e settima sinfonia di Beethoven, 19 febbraio 2019 proviene da classica.
]]>Roberto Cucchi
(foto Mario Finotti)
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]]>L'articolo “Quattro per quattro”: alle Serate Musicali in Sala “G. Verdi” un format originale che spiega le stagioni della vita. proviene da classica.
]]>ORCHESTRA ANTONIO VIVALDI
DIRETTORE LORENZO PASSERINI
Flauto e Ottavino SARAH RULLI
Violino DINO DE PALMA
Video designer LEANDRO SUMMO
Scenografa VALENTINA SAVINO
Installazioni NICOLA D’AGNELLI
Programma
R. DI MARINO
Quattro cartoline dall’Italia per flauto, ottavino e archi Roma – Amalfi – La leggenda di Maja – Paese in festa
A. PIAZZOLLA
Primavera porteña
M. RICHTER
Estate
P. GLASS
Autumn
A. VIVALDI
Inverno
di Antonio Cesare Smaldone
Quando leggiamo proposte di cartellone che prevedono l’esecuzione delle famigerate “Stagioni” la reazione istintiva può essere generalmente di due tipi: una mano in fronte per il disappunto suscitato da situazioni improvvisate, oppure l’interesse dato da esecuzioni che promettono una rispondenza filologica. Per ciò che concerne le “Stagioni” che abbiamo avuto interesse a seguire in Sala “G. Verdi” non ci siamo trovati né nel caso uno né nel caso due, avendo partecipato ad una opzione tre che rivela un progetto di più ampio respiro dalla connotazione interessante. Il filo conduttore dato, prevedeva: quattro stagioni, quattro compositori, quattro cartoline dall’Italia. La serata si è aperta con “Quattro cartoline dall’Italia” di Roberto Marino (compositore del 1956): “Roma”, “Amalfi”, “La leggenda di Maja” e “Paese in festa” sono dei piccoli quadri descrittivi molto ben organizzati, sia per successione che per costruzione, nei quali è dato al Flauto traverso e all’Ottavino (a seconda dei casi) il ruolo di “Voce recitante” che spieghi all’ascoltatore il disegno espressivo che rappresenta i vari luoghi/situazioni. In questo compito la flautista Sarah Rulli ha offerto una prova molto convincente, così come testimoniato da una calorosa accoglienza del pubblico e, altrettanto, dal bel ricordo lasciatoci. In questa prima composizione che costituisce il progetto “Quattro per quattro”, così come in quelle che seguono, la presenza di un solista non soltanto interagisce con la giovane e interessante Orchestra “Antonio Vivaldi” ma viene supportata e spiegata molto intensamente dal gioco di proiezioni del Video Designer Leandro Summo sulle Scenografie di Valentina Savino. L’effetto è quello di un coinvolgimento spaziale completo, dal Palco alla Sala durante le esecuzioni e, per bilanciamento, dalla Sala al Palco al momento dei convinti applausi. La seconda tappa del progetto prevede, dopo le cartoline italiane, l’esplorazione delle quattro Stagioni attraverso quattro autori che, per Stile ed Epoca, rappresentano a loro volta delle stagioni della musica molto diverse tra loro.
“Primavera porteña” di Astor Piazzolla, “Estate” di Max Richter, “Autumn” di Philip Glass, “Inverno” di Antonio Vivaldi. Se noti a tutti sono il primo e l’ultimo lavoro, meno lo sono quelli centrali: altro punto di interesse del progetto. In questa serie di Stagioni il violino solista di Dino De Palma svolge sia il ruolo descrittivo che gli è affidato dalla partitura attraverso un’esecuzione sicura e ricca di preziosi dettagli, sia quello di ispirazione per la scelta dei colori e delle inflessioni che la Direzione Musicale di Lorenzo Passerini va efficacemente ad infondere con chiaro coinvolgimento all’Orchestra “A. Vivaldi” sempre rispondente e con diverse punte di nota. Il susseguirsi delle Stagioni naturali assume il significato, grazie alla già citate proiezioni, di incedere armonico delle Stagioni della vita. Avvicinamenti, allontanamenti, sprazzi di luce e profondità delle ombre seguono perfettamente il gioco musicale molto ben operato da Passerini e De Palma così da trasporre il pubblico in una condizione di personale e complice riflessione. L’operazione parrebbe semplice ma, proprio per la natura degli argomenti musicali trattati, non lo è: il rischio di cadere nella banalità è molto alto in questi casi. Tutt’altro che banali sono i musicisti in scena, e, altrettanto stimolanti e ben giocate sono le rese “sceniche” nella loro composizione e successione. Una Serata Musicale che trova il consenso del pubblico e la felice impressione dei numerosi “addetti ai lavori” presenti. Una serie di cartoline e di Stagioni che hanno coinvolto e dato modo ad ognuno dei presenti di viversi in maniera personale il proprio percorso di vita. Bello!
Milano 21 gennaio 2019
L'articolo “Quattro per quattro”: alle Serate Musicali in Sala “G. Verdi” un format originale che spiega le stagioni della vita. proviene da classica.
]]>L'articolo BOLOGNA: MICHELE MARIOTTI & ROBERTO COMINATI, Teatro Manzoni – 24 novembre 2018 proviene da classica.
]]>Paolo T. Fiume
L'articolo BOLOGNA: MICHELE MARIOTTI & ROBERTO COMINATI, Teatro Manzoni – 24 novembre 2018 proviene da classica.
]]>L'articolo Novara, 16 gennaio 2018: CONTATTI: EUROPA ITALIA AMERICA. DA GOETHE A MENDELSSOHN, DA DVOŘÁK A VITTORINI E PAVESE proviene da classica.
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]]>L'articolo DUOMO DI ORVIETO: Zubin Mehta e la Nona sinfonia di Bruckner proviene da classica.
]]>11 aprile 2017, in quello che probabilmente è il più bell’esempio di architettura gotica: il Duomo di Orvieto, costruito nel 1290 come collocazione al Corporale del Miracolo di Bolsena. Qui i Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino e il M° Zubin Mehta hanno proposto un omaggio a “Den Lieben Gott” : la nona sinfonia di Anton Bruckner.
Non sarò a parlarvi di quanto già ampiamente riportato dall’informazione locale e nazionale, RAI 1 compresa, e di tutto quello che si può già trovare nella steppa infinita della rete riguardo il concerto. Vorrei invece dedicare questo spazio per parlare di Bruckner e della sua nona sinfonia.
Titolo mai scritto da Bruckner, ma soltanto pronunciato verbalmente con la promessa che l’avrebbe intitolata come nona sinfonia soltanto dopo aver portato a termine la partitura cosa che non si è avverata. Il numero 9, ha avuto un’impronta mistica (quasi terrorizzante) sui compositori, basti citare alcuni nomi: come Beethoven con nove sinfonie, Schubert sempre nove, Dvorak che ha finito più o meno nello stesso periodo di Bruckner con questo mistico “nove”, poi Mahler…, e non mi crederete, ma ce ne furono anche altri!
L’incubo primario era più o meno questo: “dopo la nona muoio!”. Incubo che cresceva man mano che i compositori si avvicinavano al comporre la nona sinfonia, sino a divenire vero e proprio terrore di non riuscire a finire. Proprio questo capitò a Bruckner, nonostante iniziò a comporre la nona nel lontano 12 settembre 1887 a 63 anni e nel pieno delle forze, oramai famosissimo e riconosciuto come il successore dell’inclinazione “Wagneriana”.
Va poi riconosciuto un fatto storico, quello dell’antagonismo. Motivo per cui si vanno formando schieramenti per l’uno o per l’altro. In quel periodo in Italia c’erano i sostenitori di Verdi e del suo antagonista Wagner, e così in Austria, i musicisti austriaci hanno creato i loro “antonimi” Wagneriani e Brahmsiani! Cosi è che i Wagneriani riconoscendo in Bruckner il successore del Grande Maestro si scagliarono con tutte le forze contro il povero Brahms.
Per dire la verità gli stessi patriarchi non erano tanto lontani dalle tendenze dei rispettivi sostenitori, ignorandosi e disprezzandosi a vicenda. Basti raccontare una vicenda, diventata aneddoto, di quando Bruckner e Brahms si trovarono uno davanti all’altro ad una cena al ristorante “Zum Rothen Igel”. Dopo una lunga e pesante pausa di silenzio piena di disprezzo, Brahms aprì il menu e disse con una voce forzata più o meno queste parole: “allora, vediamo cosa ci propongono: ah, würstel e brezzel!”, e Bruckner rispose: “Si, Herr Doktor, su questo argomento ci capiamo a vicenda” .
Arriviamo quindi alla personalità di Anton Bruckner. A dodici anni, dopo la morte del padre, fu affidato insieme con suo fratello alle cure di un monastero nel sud dell’Austria, al quale rimase legato spiritualmente per tutta la vita, mantenendo l’abitudine di riportare per iscritto quali preghiere e in che quantità le aveva recitato ogni giorno, in un preciso ordine che se scrupolosamente osservato avrebbe liberato la sua anima dai peccati. Credente sino a sfiorare il fanatismo, visse secondo i dogmi della chiesa. Incredibile, ma perseverò nella ricerca di una moglie fino a settant’anni osservando un preciso rituale secondo il quale un ragazzo e una ragazza, possibile fidanzata (rigorosamente 16-18enne), non potevano mai incontrarsi in una stanza da soli, ragion per cui si presentò sempre accompagnato da una donna di servizio. Inutile dire che se anche avesse vissuto in eterno sarebbe rimasto scapolo!
Si aggiunga che non appena sentiva il campanile annunciare la Santa Messa interrompeva immediatamente la lezione e costringeva i suoi allievi a partecipare ad una preghiera ad alta voce, intensa, quasi fanatica con una richiesta al Padre Eterno di dargli la possibilità di finire la 9 sinfonia. Nonostante ciò in nove anni non riuscì a finirla anche se scrisse le prime tre parti in circa tre anni, altri quattro anni non bastarono per la quarta. Cosciente del rischio di non riuscire a terminare ripeteva che nel caso si sarebbe potuto usare il suo Te Deum come finale, cosa che collimava perfettamente con la terza parte, l’ “addio alla vita”, ma non musicalmente (tonalità, scrittura etc.). Un finale che in effetti viene usato raramente.
Noi conosciamo 4 edizioni della sinfonia: la prima risale al 1903 di Ferdinand Loewe (uno dei due responsabili per il testamento del Maestro secondo il quale tutto materiale musicale dopo la morte avrebbe dovuto andare alla biblioteca) non autorizzata. Poi ce ne sono altre tre: Orel (1932), Nowak (1951) correzione di Orel, Cohrs (2000) correzione degli errori di stampa dei due precedenti, ma nessuna delle quattro comprende la finale. E chi sa, considerando il fatto che tra gli appunti di Bruckner si trovava un’idea di unire in finale tutti i temi della sinfonia in verticale come una Torre di Babele, e sapendo come è finita la torre.., sarebbe stato meglio rimanere con la terza parte come finale, l’ “Addio alla Vita”, anche in virtù del fatidico numero 9.
Arriviamo a parlare dell’evento. Per quel che concerne L’Orchestra, posso soltanto confermare che è un ottimo strumento! Intensità e bellezza del suono degli archi, specialmente dei primi, ricordava a volte la vecchia Wiener, intensi ma non schiaccianti. I legni sono ottimi solisti, le cui capacità li colloca al mio riguardo, tra i migliori d’Italia. L’ensemble degli ottoni era a dovere e naturalmente un grande inchino ai corni con il loro “Si naturale” pulito, immobile, quasi fisico nella percezione come un cordone che ti lega con l’aldilà.
Il Maestro Zubin Mehta rimane sempre un Grande e con tutti gli attributi. Dirige tutto rigorosamente a memoria, avendo in testa non soltanto cosi detta la linea direttoriale, ma anche la parte maggiore della fattura orchestrale. Il suo gesto è preciso e semplice da interpretare. Oggi il Maestro Mehta rimane tra i pochissimi nel mondo a portare ancora l’arte della direzione con la testa alta!
L’acustica del Duomo è ottima per questo tipo di strumentazione, anche se bisogna riconoscere che nelle chiese Gotiche l’unico strumento che funzioni sempre perfettamente, mai troppo e mai poco, è l’organo, la scrittura della 9 sinfonia si adatta in modo esemplare alle caratteristiche dell’architettura del Duomo di Orvieto. Mai fastidiosa all’orecchio, mai sporcata da un riverbero eccessivo. Dalla quinta fila l’equilibrio tra il suono e la sala era perfetto. Purtroppo riascoltando la trasmissione del Venerdì Santo ho percepito qualche sterilizzazione della sonorità da parte dei tecnici della RAI. Peccato, perché bisogna sapere che il concerto è soprattutto “qualità del suono”, e viene regolato dal Direttore e auto regolato dall’Orchestra stessa. Il suono orchestrale è come l’insieme dei colori nell’impressionismo, a volte basta un filtro (la polvere per esempio) e si perde tanto.
Comunque sia, è un altro esempio di come per capire veramente a fondo l’esecuzione orchestrale bisogna essere presenti fisicamente in sala!
Esito: estremamente positivo!
Niko
L'articolo DUOMO DI ORVIETO: Zubin Mehta e la Nona sinfonia di Bruckner proviene da classica.
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