DUOMO DI ORVIETO: Zubin Mehta e la Nona sinfonia di Bruckner

By La Redazione|21 Aprile 2017|recensione|0 comments

Den Lieben Gott

11 aprile 2017, in quello che probabilmente è il più bell’esempio di architettura gotica: il Duomo di Orvieto, costruito nel 1290 come collocazione al Corporale del Miracolo di Bolsena. Qui 
i Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino e il M° Zubin Mehta hanno proposto un omaggio a “Den Lieben Gott” : la nona sinfonia di Anton Bruckner.

Non sarò a parlarvi di quanto già ampiamente riportato dall’informazione locale e nazionale, RAI 1 compresa, e di tutto quello che si può già trovare nella steppa infinita della rete riguardo il concerto. Vorrei invece dedicare questo spazio per parlare di Bruckner e della sua nona sinfonia.

Titolo mai scritto da Bruckner, ma soltanto pronunciato verbalmente con la promessa che l’avrebbe intitolata come nona sinfonia soltanto dopo aver portato a termine la partitura cosa che non si è avverata. Il numero 9, ha avuto un’impronta mistica (quasi terrorizzante) sui compositori, basti citare alcuni nomi: come  Beethoven con nove sinfonie, Schubert sempre nove, Dvorak che ha finito più o meno nello stesso periodo di Bruckner con questo mistico “nove”, poi Mahler…, e non mi crederete, ma ce ne furono anche altri!

L’incubo primario era più o meno questo: “dopo la nona muoio!”. Incubo che cresceva man mano che i compositori si avvicinavano al comporre la nona sinfonia, sino a divenire vero e proprio terrore di non riuscire a finire. Proprio questo capitò a Bruckner, nonostante iniziò a comporre la nona nel lontano 12 settembre 1887 a 63 anni e nel pieno delle forze, oramai famosissimo e riconosciuto come il successore dell’inclinazione “Wagneriana”.

 Va poi riconosciuto un fatto storico, quello dell’antagonismo. Motivo per cui si vanno formando schieramenti per l’uno o per l’altro. In quel periodo in Italia c’erano i sostenitori di Verdi e del suo antagonista Wagner, e così in Austria, i musicisti austriaci hanno creato i loro “antonimi” Wagneriani e Brahmsiani! Cosi è che i Wagneriani riconoscendo in Bruckner il successore del Grande Maestro  si scagliarono con tutte le forze contro  il povero Brahms.

 Per dire la verità gli stessi patriarchi non erano tanto lontani dalle tendenze dei rispettivi sostenitori, ignorandosi e disprezzandosi a vicenda. Basti raccontare una vicenda, diventata aneddoto, di quando Bruckner e Brahms si trovarono uno davanti all’altro ad una cena al ristorante “Zum Rothen Igel”.  Dopo una lunga e pesante pausa di silenzio piena di disprezzo, Brahms aprì il menu e disse con una voce forzata più o meno queste parole: “allora, vediamo cosa ci propongono: ah, würstel e brezzel!”, e Bruckner rispose: “Si, Herr Doktor, su questo argomento ci capiamo a vicenda”
.

Arriviamo quindi alla personalità di Anton Bruckner.
 A dodici anni, dopo la morte del padre, fu affidato insieme con suo fratello alle cure di un monastero nel sud dell’Austria, al quale rimase legato spiritualmente per tutta la vita, mantenendo l’abitudine di riportare per iscritto quali preghiere e in che quantità le aveva recitato ogni giorno, in un preciso ordine che se scrupolosamente osservato avrebbe liberato la sua anima dai peccati. Credente sino a sfiorare il fanatismo, visse secondo i dogmi della chiesa. Incredibile, ma perseverò nella ricerca di una moglie fino a settant’anni osservando un preciso rituale secondo il quale un ragazzo e una ragazza, possibile fidanzata (rigorosamente 16-18enne), non potevano mai incontrarsi in una stanza da soli, ragion per cui si presentò sempre accompagnato da una donna di servizio. Inutile dire che se anche avesse vissuto in eterno sarebbe rimasto scapolo!

Si aggiunga che non appena sentiva il campanile annunciare la Santa Messa interrompeva immediatamente la lezione e costringeva i suoi allievi a partecipare ad una preghiera ad alta voce, intensa, quasi fanatica con una richiesta al Padre Eterno di dargli la possibilità di finire la 9 sinfonia. Nonostante ciò in nove anni non riuscì a finirla anche se scrisse le prime tre parti in circa tre anni, altri quattro anni non bastarono per la quarta. Cosciente del rischio di non riuscire a terminare ripeteva che nel caso si sarebbe potuto usare il suo Te Deum come finale, cosa che collimava perfettamente con la terza parte, l’ “addio alla vita”, ma non musicalmente (tonalità, scrittura etc.). Un finale che in effetti viene usato raramente.

Noi conosciamo 4 edizioni della sinfonia: la prima risale al 1903 di Ferdinand Loewe (uno dei due  responsabili per il testamento del Maestro secondo il quale tutto materiale musicale dopo la morte avrebbe dovuto andare alla biblioteca) non autorizzata. Poi ce ne sono altre tre: Orel (1932), Nowak (1951) correzione di Orel, Cohrs (2000) correzione degli errori di stampa dei due precedenti, ma nessuna delle quattro comprende la finale. E chi sa, considerando il fatto che tra gli appunti di Bruckner si trovava un’idea di unire in finale tutti i temi della sinfonia in verticale come una Torre di Babele, e sapendo come è finita la torre.., sarebbe stato meglio rimanere con la terza parte come finale, l’ “Addio alla Vita”, anche in virtù del fatidico numero 9.

Arriviamo a parlare dell’evento. Per quel che concerne L’Orchestra, posso soltanto confermare che è un ottimo strumento! Intensità e bellezza del suono degli archi, specialmente dei primi, ricordava a volte la vecchia Wiener, intensi ma non schiaccianti. I legni sono ottimi solisti, le cui capacità li colloca al mio riguardo, tra i migliori d’Italia. L’ensemble degli ottoni era a dovere e naturalmente un grande inchino ai corni con il loro “Si naturale” pulito, immobile, quasi fisico nella percezione come un cordone che ti lega con l’aldilà.

Il Maestro Zubin Mehta rimane sempre un Grande e con tutti gli attributi. Dirige tutto rigorosamente a memoria, avendo in testa non soltanto cosi detta la linea direttoriale, ma anche la parte maggiore della fattura orchestrale. Il suo gesto è preciso e semplice da interpretare. Oggi il Maestro Mehta rimane tra i pochissimi nel mondo a portare ancora l’arte della direzione con la testa alta!

L’acustica del Duomo è ottima per questo tipo di strumentazione, anche se bisogna riconoscere che nelle chiese Gotiche l’unico strumento che funzioni sempre perfettamente, mai troppo e mai poco, è l’organo, la scrittura della 9 sinfonia si adatta in modo esemplare alle caratteristiche dell’architettura del Duomo di Orvieto. Mai fastidiosa all’orecchio, mai sporcata da un riverbero eccessivo. Dalla quinta fila l’equilibrio tra il suono e la sala era perfetto. Purtroppo riascoltando la trasmissione del Venerdì Santo ho percepito qualche sterilizzazione della sonorità da parte dei tecnici della RAI. Peccato, perché bisogna sapere che il concerto è soprattutto “qualità del suono”, e viene regolato dal Direttore e auto regolato dall’Orchestra stessa. Il suono orchestrale è come l’insieme dei colori nell’impressionismo, a volte basta un filtro (la polvere per esempio) e si perde tanto.

Comunque sia, è un altro esempio di come per capire veramente a fondo l’esecuzione orchestrale bisogna essere presenti fisicamente in sala!

Esito: estremamente positivo!

Niko

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