BOLOGNA: MICHELE MARIOTTI & ROBERTO COMINATI, Teatro Manzoni – 24 novembre 2018

By La Redazione|3 Dicembre 2018|recensione|0 comments

Un appuntamento all’insegna del tema dell’ostinato al Teatro Manzoni di Bologna, per la stagione sinfonica del Comunale, dal risultato decisamente positivo ed interessante. A cominciare dalla stessa meta-ostinazione del programma: in apertura la prima esecuzione assoluta di Ostinato per orchestra, di Luis de Pablo, su commissione della Regia Accademia Filarmonica. Opera di un nome che non ha certo bisogno di presentazioni, e che all’interno di una matrice dai tratti serialisti dipana con gusto da “generazione del ’51” ma con estrema razionalità e maturità timbrica il tema eponimo, riuscendo a nostro parere ad offrire impressioni estremamente interessanti nell’affrontare una delle sfide più ardue che affonda le radici nella storia stessa della musica occidentale: l’espressione variabile in un tempo lineare del tempo ciclico sottinteso dalla presenza di un eterno ritorno tematico. Il risultato, di poco meno di un quarto d’ora, è quasi una sequenza gregoriana contemporanea. Michele Mariotti sul podio dell’Orchestra del Teatro Comunale ha un controllo dinamico e timbrico magistrale. Di forse più agile ascolto, ma sicuramente non a prezzo della grandezza dell’opera, il secondo brano del programma, il celebre Concerto in Re maggiore “per la mano sinistra” di Maurice Ravel. La mano in questione – meravigliosa – è quella di Roberto Cominati, un nome che ci farebbe piacere leggere più spesso nei cartelloni italiani, viste le sue qualità, che francamente fatichiamo assai a trovare in pareggio in altri nomi connazionali della sua generazione. Ci pare che più di tutto sia rispettata e portata in massimo grado l’indicazione di Ravel secondo cui il concerto andrebbe eseguito come se fosse scritto per due mani; il che impone delle sfide esecutive estremamente notevoli, obbligando non soltanto a gestire le differenze dinamiche e di fraseggio tra suoni di pedale e canto con la sola mano solitamente pure svantaggiata, non soltanto a inserire questo lavoro tecnico frenetico in un’apparenza placida e cantabilissima, che anche nel più spedito allegro centrale pur con brillantezza smagliante non giunge mai ad eccessi frenetici, ma a farlo su un’estensione improba e sostanzialmente inedita nella letteratura pianistica fino a questo lavoro. Cominati è eccezionale in purezza di fraseggio e senso del canto, e sostanzialmente impeccabile sotto il profilo tecnico, trasmettendo la ferma sicurezza e facilità, cifra distintiva tanto del grande strumentista quanto del grande cantante, che è parte integrante di un’esecuzione dotata di gusto oltre che di senso e di precisione. Applaudito dal pubblico con convinzione quasi melomaniaca, al punto da concedere due bis (The man I love, Gershwin, e la Milonga del Angel di Piazzolla) del tutto esemplari. Mariotti lo accompagna con la precisione che gli è consueta e in aggiunta con uno studio evidentemente attento della timbrica, che in Ravel e nella sua scrittura orchestrale in un certo modo essenziale e michelangiolescamente ripulita di tutto il superfluo più che mai risulta dirimente. Tutta sua e della decennalmente “sua” Orchestra la seconda parte del concerto, con l’antologia orchestrale di due suites da Romeo e Giulietta di Prokof’ev. Qui Mariotti, che conosciamo ed ammiriamo particolarmente come direttore belcantistico e verdiano, dà brillante prova di sé in un repertorio solo apparentemente accessibile, in cui la dimensione di trascrizione non si limita alla resa di una musica per balletto in forma non scenica, ma acquisisce un carattere proprio, in cui sono concesse delle libertà agogiche che vengono sfruttate appieno, e che offrono una dimensione nuova a melodie tanto celebri quanto ricche di potenziale semantico inespresso quando slegate dalla dimensione di palcoscenico. L’Orchestra è estremamente efficace, l’ambiente del Manzoni, acusticamente eccezionale, è sfruttato con perfetto equilibrio restando sempre appena al di qua del limite del fragore nei fortissimi sferzanti. Particolarmente riusciti ci sembrano Montecchi e Capuleti e la morte di Tebaldo, in cui le tensioni ostinate sono chiaramente e fluidamente espresse sia nella gestione contrappuntistica della partitura che in una solenne e compiuta timbrica “nel modo russico”, per dirla con Musorgskij. Debito trionfo per Mariotti, che appena alle soglie della quarta decade si dimostra già un direttore di inconsueta maturità, in cui lo slancio quarantottesco è già sapientemente inquadrato in una coscienza di limite e di senso particolarmente profonda. Si sente in Verdi (un esempio tra tutti, già nell’ottimo Nabucco con Nucci del Festival Verdi 2008, facilmente reperibile su YouTube), e si sente ancora di più in questo repertorio. La performance si chiude purtroppo senza bis, ma con grandi acclamazioni anche per l’Orchestra, sempre all’altezza, e le sue impeccabili prime parti.

Paolo T. Fiume

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