NOVARA: prima e settima sinfonia di Beethoven, 19 febbraio 2019

By La Redazione|21 Febbraio 2019|recensione|0 comments

«Ecco una sonata che darà filo da torcere ai pianisti, quando la eseguiranno tra cinquanta anni», poche parole che racchiudono tutta l’amarezza di Beethoven nel consegnare al suo editore, siamo nel 1819, una sonata che mai avrà il piacere di ascoltare. “Che cos’è il genio?”, recita la voce fuori campo del Perozzi nell’indimenticabile capolavoro cinematografico di Monicelli, “È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. E proprio la fantasia e la velocità di esecuzione furono motivo di lamentazioni da parte degli esecutori contemporanei al grande genio di Beethoven. Ma il genio non è soltanto questo. Il genio è soprattutto trovarsi a vivere la propria esistenza con largo anticipo sui quei tempi che la vedrebbero quale ordinaria, o poco più. Ma tale fu il suo genio, o forse troppa la sua umiltà, da indurlo a pronosticare il periodo fin troppo breve di cinquanta anni, dopo i quali la sua musica sarebbe risultata tanto ordinaria da poter essere eseguita senza difficoltà alcuna. Di fatto, a distanza di duecento anni, in attesa che si desse inizio all’esecuzione della sua Prima e Settima sinfonia al Teatro Coccia di Novara, ho potuto intercettare i gesti e le parole di un giovanissimo e appassionato studente di musica che spiegava i virtuosismi richiesti da alcuni movimenti “innaturali” con l’archetto. Ma cosa c’è in Beethoven che non si può trovare in nessun altro compositore del suo tempo? Di certo egli segna il passaggio definitivo dalle leziosità del barocco all’impeto del romanticismo. Altrettanto certo è che questo non sarebbe bastato a fare la differenza. Occorre vi sia molto di più a che il Personaggio e la sua Musica entrino nel novero dei maggiori esponenti di tutti i tempi. Passino la stravaganza, la presunta misantropia, eccetera, eccetera… di fatto quel che dovrebbe catalizzare l’attenzione sono l’assoluta unicità delle sue vicissitudini ed il conseguente prodotto artistico. Personalmente quello che mi domando è se non fu proprio il suo più grave difetto a forgiare la sua grandezza: la sordità. Chi può dire se potendo ascoltare gli esecutori non si sarebbe arreso conformando le sue composizioni alle esigenze del proprio tempo, divenendo in tal modo uno solo tra i tanti. Beethoven vive la sua esistenza lontano dall’influenza dei “rumori” del suo tempo, e forse, a suo modo li descrive con la sua Musica, dove si possono udire chiari i suoni dei fermenti dell’illuminismo così come quelli delle cannonate delle armate francesi di Napoleone, e ancora la passione impetuosa e ardente, quasi oscena, dei suoi amori. Egli non ascolta nessun’altro che sé stesso, dapprima perché non può, poi dopo una lunga meditazione sul suicidio, è probabile che più non lo volesse. Chiuso ermeticamente nel suo universo esclusivo compie un’autentica trasmutazione delle personali gioie e amarezze in composizioni musicali fuori del tempo e senza tempo. Oggi Ludwig van Beethoven, già tanto amato e a fasi alterne bistrattato nel suo tempo, è comunemente riconosciuto tra i primissimi geni del genere umano, frequentemente e più o meno bene eseguito. “Più o meno bene” però non è quanto richiesto dal Maestro Matteo Beltrami, direttore musicale del Coccia di Novara, che per questa rappresentazione ha voluto che le porte dell’ingresso artistico si aprissero all’organico della blasonata orchestra de I Virtuosi Italiani. A presentare la serata il giornalista e scrittore Gianluigi Nuzzi, noto al pubblico televisivo non soltanto per la trasmissione Intoccabili in onda su La7 e per Quarto Grado in onda su Rete4, bensì per l’inchiesta sul Vaticano e la sua vicinanza al Papa emerito Benedetto XVI. Giusto appunto su questo argomento e sugli scandali relativi alla pedofilia, Nuzzi ha voluto richiamare l’attenzione del pubblico, invitandolo a tenere alta la guardia. Ratzinger nonché Benedetto XVI, che a suo dire, oggi passeggia tra i giardini vaticani, che cordialmente incontra le persone, e ama passare le giornate al pianoforte tra le note di Mozart e Beethoven, perché è nell’arte che l’uomo incontra il divino. Organico ridotto a 38 elementi (trai quali sole quattro donne… e si sente dire: “ma le quote rosa?”) di ottimi e concentratissimi orchestrali che danno il meglio di sé centrando in pieno l’obbiettivo pur trovandosi alle prese con due differenti opere nella stessa serata. Di fatto la Prima e la Settima presentano stili che vanno dal classicheggiante in cui si sentono ancora presenti le influenze di Haydn al romantico del compositore maturo e perfettamente identificato nello stile del suo tardo periodo. Dal suo canto, il Maestro Matteo Beltrami, dalla fucina del podio intende e riesce a forgiare una dinamica che incanta l’ascoltatore proiettando, metaforicamente, indimenticabili immagini di quei sentimenti che con grande probabilità furono dell’autore stesso. Ahimè, appuntamento disertato dal pubblico novarese che a stento è riuscito a riempire la platea del teatro, e a torto! Complice e galeotta la serata infrasettimanale, ma per i fortunati che hanno avuto l’ardire di presentarsi all’appello il premio è stato quello di partecipare ad una esecuzione di tutto rispetto. Prolungati e insistenti gli applausi alla ribalta, tali da esigere un bis puntualmente concesso, se pur con le strenuate forze di chi ha già dato tanto e nel migliore dei modi.

Roberto Cucchi

(foto Mario Finotti)

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